
Foto di Roberto 'PixJockey' Rizzato
Quando ritornò al capitolo sulle leggi delle variazioni, Charles Robert Darwin era d’umore piuttosto cattivo per via dell’ennesimo, agitato risveglio notturno e di quel ticchettante tarlo lamarckiano sempre pronto a scatenare attacchi assillanti. Certo, da uomo aperto ed intelligente qual era, non esitava mai a rimettere tutto in discussione di fronte ad un buona ragione, ma quegli improvvisi e viepiù ricorrenti sobbalzi notturni cominciavano a divenirgli intollerabili. Quella notte, poi, si sentiva alquanto confuso e non riusciva nemmeno a spiegarsi come mai una copia de L’origine delle specie fosse finita proprio lì, sotto il suo cuscino. Libro sulle ginocchia, seduto ricurvo ai piedi del letto, dopo un breve ed accurato massaggio del torace e dell’addome aveva compreso che non sarebbe più riuscito a prender sonno. E così s’era messo a leggere.
La luce fioca e il dubbio tarlante lo avevano guidato all’assenza dei tarsi nell’Ateuchus.
- Non è ancora provato che le mutilazioni accidentali siano trasmissibili per eredità – lesse a bassa voce.
Qualcosa, frattanto, tentò un’ascesa dallo stomaco ingolfato ed anche l’indice destro risalì d’un rigo appena, sino ai tarsi assenti.
- Nell’Ateuchus, o Scarafaggio sacro degli egiziani, essi mancano affatto – bisbigliò poco prima d’esclamare sorpreso - E la sua sacralità? La sua sacralità non si è forse estinta anch’essa?
Quella natura e quella religiosità consumatesi nei secoli ne sospinsero il pensiero alle pagine del Gibbon e ai fasti di un qualcosa lontano nel tempo che pareva prendere a parlare proprio in virtù del tracollo e della scomparsa. Ebbe persino l’impressione di vederlo, proprio lì, nella sua stanza da letto, bello tondo e paffuto, col traballante doppio mento sicura evoluzione d’una qualche iguana delle Galapagos.
- Che c’entra Gibbon? – si chiese accogliendo un nuovo rigurgito gastrico, acido da sconvolgergli ancor di più volto e pensieri. E più la risalita esofagea procedeva sgradevole e veloce, più il suo pensiero ripercorreva rapido il tempo trascorso.
- Permettete?
- Ecco! Sento anche le voci adesso – bisbigliò massaggiandosi la fronte.
- Non le voci! La mia voce.
- Chi siete?
- Il mio nome è Hobbes, Thomas Hobbes.
- Voi siete…
- Hobbes, Thomas Hobbes!
- Sì, ho capito. Ma voi siete…
- Intendete dire: morto? E anche da un pezzo!