
Foto di Francesca Woodman, particolare.
Spigolature
Le pantofole – «Schlappen» in tedesco, «slippers» in inglese – sono fatte perché vi si possa scivolare dentro coi piedi senza bisogno di ricorrere all’aiuto della mano. Sono, per così dire, i monumenti dell’avversione per l’obbligo di chinarsi.
Che, nella società permissiva, la libertà e la sfrontatezza finiscano per fare tutt’uno, è provato dai gesti noncuranti dei giovani, che chiedono con aria strafottente «quanto costa il mondo» finché non vendono ancora il loro lavoro. Per sottolineare che non dipendono da nessuno e che quindi non sono tenuti a dar prova di rispetto, affondano le mani nelle tasche dei pantaloni. Ma i gomiti che, così facendo, sporgono in fuori, sono già pronti a urtare senza riguardi chiunque tagli loro il cammino.
Lo squallore del sorgere del sole, nella Sinfonia delle Alpi, di Richard Strauss, non è un prodotto solo della banalità delle sequenze musicali, ma anche e proprio dallo splendore che esse dovrebbero evocare o rappresentare. Poiché il sorgere del sole, anche quello a cui si può assistere in alta montagna, non ha nulla di pomposo, trionfale e sovrano, ma accade sempre, per così dire, in modo timido e esitante come la speranza che un giorno le cose potranno andare meglio per tutti, ed è proprio in questa inappariscenza della luce più possente che si cela ciò che ci commuove e che ci sopraffà.
È per la felicità come per la verità: non la si ha, ma ci si è. Felicità non è che l’essere circondati, l’«esser dentro», come un tempo nel grembo della madre. Ecco perché nessuno che sia felice può sapere di esserlo. Per vedere la felicità, dovrebbe uscirne: e sarebbe come chi è già nato. Chi dice di essere felice mente, in quanto evoca la felicità, e pecca contro di essa. Fedele alla felicità è solo chi dice di essere stato felice. Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine: ed è ciò che costituisce la sua dignità incomparabile.
Al bambino che rientra dalle vacanze la casa in cui abita appare nuova, allegra, festosa, nonostante che non vi sia cambiato nulla dal giorno in cui l’ha lasciata. Solo il fatto che sia stato dimenticato il dovere a cui altrimenti ci richiama ogni mobile, ogni finestra, ogni lampada, ripristina, per così dire, la sua pace sabbatica, e per qualche minuto ci sentiamo a nostro agito nel labirinto delle stanze, dei camerini e del corridoio, che conosciamo a memoria come la tavola pitagorica, come, per tutta la vita, si pretende inutilmente di farcelo credere. Sarà proprio così che il mondo, quasi immutato, apparirà nella luce stabile del suo giorno festivo, quando non sarà più soggetto alla legge del lavoro, e il dovere sarà lieve, a chi torna, come il gioco lo e stato nelle vacanze.
Theodor W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa