
Guido da Verona
Aveva commesso un peccato molto mortale riscrivendo in chiave comico-politica I Promessi sposi, il celebre romanzo manzoniano. Un primo avviso di quello che lo aspettava negli anni che sarebbero seguiti lo scrittore Guido da Verona lo ebbe passeggiando nella Galleria di Milano con il suo editore Dall’Oglio. Un gruppo di universitari fascisti dopo aver fatto una catasta di libri dei suoi Promessi sposi gli dette fuoco. Non contenti della bravata malmenarono l’autore e sbeffeggiarono l’editore. Quella parodia dell’opera manzoniana, quella satira contro il fascismo che non era evidente ai più, era molto chiara, presente e fastidiosa al regime.
L’aggiunta del da fra Guido e Verona fu forse un vezzo, un colpo à la page, un omaggio a D’Annunzio, ma anche, molto probabilmente, un’escamotage per allontanare il marchio ebraico impresso nel suo cognome. Per dirla tutta, nonostante le sue indubbie origini ebraiche nel 1925 fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile. Non l’unico ebreo fascista di quei tempi. Però da Verona si era preso la libertà di dileggiare il regime, il gusto del privilegio alla base di alcuni uomini liberi, anche per “scherzarci su”. Come si sa per i regimi non c’è niente su cui si può scherzare. Il suo scherzo letterario al fascismo arrivava puntuale nel momento in cui Mussolini firmava il Concordato con la Chiesa. E nei Promessi sposi ce n’erano di bastonate, anche per il Vaticano.
Guido da Verona è stato un campione d’incasso di libreria. I suoi titoli vendevano oltre le centomila copie (Mimì bluette, fiore del mio giardino superò le trecentomila copie vendute, in un’Italia quasi completamente analfabeta). Aveva capito che la scrittura non poteva essere noiosa, e per evitarlo doveva contaminarsi. E in un passo dell’introduzione ai Promessi sposi da Verona lo evidenzia, dà una lezione di marketing editoriale ante litteram:
«…abbiamo la crisi libraria!... In mezzo a tante chiacchiere e convegni che fanno editori e scrittori, io credo che l’unico mezzo per attenuare la sfiducia irremediabile che nel pubblico si è venuta formando contro il libro, sia quello di fabbricare coraggiosamente una nuova letteratura. Il pubblico invade i cinematografi e diserta le librerie. Ogni famiglia di borghesi o d’operai spende all’anno somme notevoli per vedere Charlie Chaplin e Pola Negri, mentre non versa, nemmeno a torcerla con le tenaglie, un soldo al libraio. Ragione? Molto semplice. Il cinematografo diverte, il libro annoia. Il povero pubblico fu truffato per anni ed anni da scrittori che oggi fanno i rappresentanti di biciclette, da editori che rilegavano in volume… sotto il nome di romanzo, i bollettini statistici e i numeri del Lotto. Questa è la crisi libraria…».