
«La campagna in corso dell’industria dell’Olocausto per estorcere denaro all’Europa in nome delle ‘vittime bisognose dell’Olocausto’ ha ridotto la statura morale del loro martirio a quella di un casinò di Montecarlo».
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Due sono i temi centrali de L’industria dell’Olocausto. Innanzitutto, la responsabilità dei tedeschi e dei soli tedeschi di fare i conti con il loro passato. Ne La catastrofe tedesca Friedrich Meinecke osserva che, sebbene la malvagità non fosse solo della Germania nazista, perché l’“elemento amorale” che ne era al centro aveva contagiato l’intera civiltà occidentale, “questa verità non dovrebbe essere una giustificazione per noi tedeschi. Considerazioni etiche e storiche impongono a noi tedeschi di occuparci dei nostri problemi, e capire il ruolo particolare della Germania nella questione”. Vale anche il contrario: considerazioni etiche e storiche richiedono che, ad esempio, gli Stati Uniti si occupino dei loro problemi. Invece, mentre sono fin troppo disposti a sovrintendere ai conti della Germania con il proprio passato, gli americani non solo non fanno lo stesso con il loro, ma, peggio, non riescono a concepire una responsabilità paragonabile. Nel suo discorso di conclusione dei negoziati sul lavoro nei campi di concentramento tedeschi, il Segretario di Stato Madeleine Albright spiegava che era “negli interessi di politica estera degli Stati Uniti fare passi per affrontare le conseguenze dell’era nazista, apprendere le lezioni di questo capitolo buio della storia
della Germania e insegnarle al mondo, così da cercare di assicurare che non accada mai più.” In effetti, sarebbe anche negli “interessi di politica estera” della maggior parte dell’umanità se gli USA esaminassero i “capitoli bui” del loro passato. Mentre i tedeschi combattono quotidianamente con i loro crimini storici, gli americani devono ancora addirittura riconoscere la maggior parte dei loro. Nei discorsi americani dominanti sul Vietnam, la sola domanda che viene fuori è: quand’è che i vietnamiti riconosceranno quello che ci hanno fatto? Ovvero, noi americani siamo al livello
morale del discorso di Himmler a Posen.
La seconda tesi centrale de L’industria dell’Olocausto è che le élites ebraiche americane sfruttano l’olocausto nazista per vantaggi politici e finanziari. Ne La questione della colpa tedesca, Karl Jaspers ha sostenuto che la “messa in stato di accusa” della Germania “non è più un’incriminazione” se essa diventa “un’arma usata per altri scopi, politici, economici” (corsivo nell’originale). Benché i tedeschi abbiano chiaramente il dovere di confrontarsi con gli orrori del
nazismo, essi hanno anche il diritto di opporsi allo sfruttamento di questi crimini.
Ne L’industria dell’Olocausto, scrivo di come diverse organizzazioni, istituzioni e personalità ebraiche americane hanno strumentalizzato l’olocausto nazista per proteggere Israele dalle critiche e, più recentemente, per ricattare l’Europa. La critica principale rivolta al libro non è stata che avevo presentato i fatti in modo inesatto, ma che, nel descrivere questa impresa coordinata avevo inventato una “teoria della complotto”. Ne La ricchezza delle nazioni Adam Smith osserva che i capitalisti “si incontrano di rado, anche per festeggiare e divertirsi, ma la conversazione finisce in un complotto contro il pubblico, o in qualche trovata per aumentare i prezzi” Anche questo fa del classico di Smith una “teoria della complotto”?