
Quando i filosofi cercano di rendere accessibili al grande pubblico le loro idee c’è subito qualcuno che parla di “tradimento”. Molti colleghi vorrebbero che la filosofia restasse circoscritta entro circoli ristretti di specialisti, con l’implicito presupposto che i suoi tesori – o presunti tali – non vadano condivisi col cosiddetto uomo della strada, pena lo svilimento di tesi nate da una lunga elaborazione del pensiero. E spesso, per raggiungere tale obiettivo, ci si nasconde dietro il paravento di un tecnicismo così stretto da rendere impossibile la comprensione dei testi da parte dei non specialisti.
Gran parte della filosofia contemporanea ha adottato proprio questo tipo di approccio. Essendo il sottoscritto di formazione analitica, mi viene subito in mente il caso della filosofia analitica del ’900 (o, almeno, di una parte di essa). A volte è difficile capire i problemi di cui tratta questa tradizione di pensiero addirittura per gli addetti ai lavori, figuriamoci quindi la perplessità di coloro che desiderano avvicinarsi ai testi senza possedere una preparazione specifica.
Confesso di non concordare con chi strilla al tradimento per il solo fatto che articoli di carattere filosofico finiscono molto spesso sui quotidiani a larga diffusione. Dal mio punto di vista è, invece, un buon segno di vitalità. In fondo la filosofia occidentale è nata per rispondere, o per cercare di fornire risposte, ad alcuni quesiti fondamentali che gli esseri umani si sono sempre posti circa se stessi e il mondo – naturale e sociale – che li circonda.
L’ultimo caso è quello del “nuovo realismo” che ora va per la maggiore soprattutto in Italia. Non passa giorno senza che giornali e riviste a grande tiratura ne parlino pubblicando articoli e recensioni a ritmo costante. Tutto è nato con la pubblicazione del Manifesto del nuovo realismo di Maurizio Ferraris, un amico filosofo che ha il raro dono di farsi capire senza troppi sforzi. Ora si aggiunge un nuovo tassello con il volume antologico Bentornata realtà. Il nuovo realismo in discussione, a cura di Mario De Caro e dello stesso Ferraris (Einaudi, Torino 2012).
Si è parlato, a questo proposito, di una operazione puramente “mediatica”. In altri termini i nuovi realisti vengono accusati di scrivere per meri motivi di auto-promozione, il che significa che sarebbero superficiali e poco attenti alla qualità scientifica dei loro scritti. Numerosi i commenti ironici e gli inviti a una maggiore serietà.
Confesso di non essere affatto d’accordo con critiche di questo tipo. Se alcuni filosofi trovano il modo di farsi ascoltare da un pubblico più vasto di quello che tradizionalmente presta attenzione a ciò che dicono e scrivono dovremmo – tutti – complimentarci con essi. Non sono, in fondo, proprio gli studiosi di filosofia a lamentarsi del fatto che la loro disciplina ha perduto importanza rispetto al passato, finendo con l’essere soppiantata, per esempio, dalle scienze umane e sociali? E non sono questi stessi studiosi sempre pronti a dolersi per il calo delle iscrizioni ai corsi di laurea filosofici? Ci vorrebbe, insomma, una maggiore coerenza. Altrimenti si rischia, per usare un detto popolare, l’accusa di volere la botte piena e la moglie ubriaca.