
James Hillman è psicologo e analista di scuola junghiana, filosofo e saggista americano. In questo scritto scagiona l’America e gli americani dalle accuse di essere un popolo guerrafondaio nonché cultore della guerra. Quello di Hillman è un esercizio semplice e complesso allo stesso tempo, di forte intuizione, condivisibile a tratti per alcune analisi lucide. Ma il lettore, di qualsiasi estrazione culturale, saprà decodificare e apprezzare queste poche righe.
Chi ha visto il film Patton, generale d’acciaio ricorderà la scena in cui il generale americano, comandante della Terza Armata nel 1944-1945, attraversata la Francia sino al confine tedesco, percorre il campo dopo la battaglia: terra squarciata, carri armati incendiati, soldati morti. Il generale solleva tra le braccia un ufficiale morente, lo bacia e, girando lo sguardo su quella devastazione, dice: «Come amo tutto questo! Che Dio mi perdoni, lo amo talmente. Più della mia vita».
Sono convinto che non si potrà mai parlare di pace o di disarmo in modo sensato, se non penetriamo questo amore per la guerra. Senza entrare nello stato in cui l’anima è marziale, non potremo comprenderne l’attrazione. E in questo speciale stato bisogna entrare ritualisticamente: dobbiamo essere «arruolati», e la guerra deve essere «dichiarata» (così come si è dichiarati pazzi, uniti in matrimonio o insolventi). Proveremo, dunque, ad «andare in guerra», e questo in base al principio metodologico della psicologia secondo cui qualunque fenomeno, per essere compreso, deve essere immaginato empaticamente.
Per conoscere la guerra dobbiamo entrare nell’amore per la guerra. Nessun fenomeno psichico può essere veramente distolto dalla sua fissità se prima non spingiamo l’immaginazione fino al cuore…
Il metodo: entrare a capofitto, penetrare invece di girare intorno o riflettere, è a sua volta marziale. Con questo approccio all’argomento, noi evocheremo il dio che all’argomento presiede…
Accanto alla reali battaglie con i loro monumenti, la monumentale letteratura che sta alle radici del linguaggio occidentale è costituita in larga misura di «libri di guerra»: il Mahābhārata con la sua Bhagavadgītā, l’Iliade, l’Eneide, il Leabhar Gabála dei celti, la scandinava Edda.
La Bibbia stessa è un lungo resoconto di battaglie, di guerre e di condottieri; Yavèh si presenta con le parole di un Dio della guerra e i suoi profeti e re ne sono i guerrieri. Perfino il Nuovo Testamento è articolato in modo che il libro finale, l’Apocalisse, che funge da ricapitolazione, culmina nella grande battaglia dell’Arrmageddon.