
– Allora come faceva a suonare le campane allora giusta?
– Sentiva l’ora alla radio, e si regolava col sole e con la luna. Del resto, non suonava tutte le ore, ma solo quelle importanti. Due anni prima che scoppiasse la guerra si era rotta la corda della campana: si era strappata in alto, la scaletta era fradicia, il campanaro era vecchio e aveva paura di arrampicarsi fino lassù per mettere una corda nuova. Da allora in poi ha segnato le ore sparando in aria col fucile da caccia: uno due, tre, quattro spari. È andato avanti così finché sono venuti i tedeschi; il fucile glielo hanno preso, e il paese è rimasto senza ore.
– Sparava anche di notte, il tuo campanaro?
– No, ma di notte non aveva mai suonato neanche le campane. Di notte si dormiva, e non c’era bisogno di sentire le ore. L’unico che ci teneva veramente era il rabbino: lui l’ora giusta la doveva conoscere per sapere quando cominciava e finiva il Sabato. Ma delle campane non ne aveva bisogno, aveva una pendola e una sveglia; quando andavano d’accordo era gentile, quando non andavano d’accordo si vedeva subito, perché diventava litigioso e batteva i bambini sulle dita con il righello. Quando sono stato più grande mi chiamava perché le facessi andare d’accordo. Sì, ero l’orologiaio, patentato; è proprio per questo che quelli del distretto mi hanno messo in artiglieria. Avevo giusto il torace che ci voleva, non un centimetro in più. Avevo il mio laboratorio, piccolo ma non ci mancava niente. Non riparavo solo orologi, ero bravo a riparare un po’ di tutto, anche le radio e i trattori, purché non avessero guasti troppo difficili. Ero il meccanico del kolchoz, e il mio lavoro mi piaceva. Gli orologi li riparavo in privato, a tempo perso: erano pochi, ma tutti avevano il fucile, e io riparavo anche i fucili.
Se non ora, quando?, Primo levi