Perché queste Sue note biografiche Lei le ha dettate a testa alta, col segreto pensiero di far colpo; Lei ha creduto di collocarsi all’avanguardia, mentre è finito nella retroguardia, accanto a De Amicis e a Paolo Valera. Resta poi il fatto, caro giovane amico, che in questi tempi di misticismo il Suo prete seduttore a me piace moltissimo e non intendo affatto condannarlo. Mi creda Suo
Leo Longanesi
Estremamente offeso andai da lui il giorno dopo deciso alla lite; che avvenne, inevitabile. Egli mi disse che non dovevo montarmi la testa per quanto avevo scritto, e soprattutto che non dovevo scivolare da una certa parte solo perché di là tirava il vento.
Risposi che andavo dalla parte che mi piaceva, senza guardare i venti. Ma egli seguitò a dire che mi sprecavo, che dovevo scrivere altri libri molto migliori, se non altro per dispetto a lui. Questo atteggiamento mi irritò straordinariamente, scrissi a Prezzolini che avevo litigato con Longanesi e Prezzolini senza stupirsi mi disse che questo era naturale.
Volevo avere l’ultima parola sentendomi tradito da chi mi aveva aiutato per primo e fatto da maestro amorevole e non lasciai scappare l’occasione di incontrarmi con lui a denti stretti. Egli lo sapeva.
Una sera che passeggiava per via Manzoni con amici tra cui Mario Soldati e Gaetano Afeltra, allungai il passo per raggiungerli ed egli, che mi aveva visto, senza salutare nessuno scappò a gambe levate per via Monte Napoleone. Raggiunsi gli amici, stetti un poco con loro, ma troppo mi premeva seguirlo e subito corsi via anch’io per pedinarlo.
Persuaso che me ne fossi andato egli stava annotando su un taccuino, al lume delle lampade della strada, pensieri frettolosi. Non mi vide, il buio, la nebbia dell’ora assai tarda gli impedivano di scorgermi a distanza. La strada era vuota, non un’anima passava più a quell’ora.
Saltava da un marciapiedi all’altro con aria di ragazzo attaccabrighe, di tanto in tanto si fermava, apriva il taccuino e scriveva.
Andai a trovarlo un mese più tardi in ufficio. Nessuno dei due parlò dell’incidente di via Monte Napoleone. Si discusse per un’ora: seguitò a dirmi che dovevo vergognarmi a buttare via il mio talento come stavo facendo. Tentai di difendermi ma tutto risultò inutile. Egli seguitava a criticarmi, perfino il mio modo di vestire. Non vede com’è vestito? Non si vergogna? Nemmeno un pezzetto di decoro gli è restato! Una volta aveva quei bei vestiti neri, da persona seria, adesso guarda che cravatte, che scarpe!
Non sapevo più cosa dire. Allora, umiliato del tutto, lo interruppi a voce bassa, senza litigare presi a raccontargli una storia che m’era venuto in mente di scrivere: una storia che riguardava delle zie di provincia che compravano una motoretta, col mutare dei costumi. Il giorno seguente comincia a scriverla, anche oggi ne ho scritto un capitolo. E l’ho scritto persuaso che, un momento o l’altro, da qualche parte, non so, glielo porterò in lettura.
Incontro con Longanesi, in Quando la fantasia ballava il «boogie», Goffredo Parise. (Volume curato da Silvio Perrella per Adelphi)